L'11 aprile 1923 una raccomandata comunicava al Soprintendente Paolo Orsi la scoperta di alcuni mattoni e pietre nel promontorio di Punta Alice. Gli scavi, realizzati nel 1924, completarono l'esplorazione del tempio e i risultati eclatanti di questa campagna rimasero fondamentali per la conoscenza dei luoghi del ritrovamento, mentre le successive indagini, effettuate a partire dagli anni Settanta del secolo scorso, hanno consentito una visione più compiuta ed esaustiva delle fasi costruttive del santuario.
Nella sua fase più antica (fine VI sec. a.C.), il tempio dedicato ad Apollo Alaios era costituito da una cella (naos) fortemente allungata (m. 27x7,90), orientata E/W, completamente aperta sul lato orientale e divisa in due navate da un colonnato di cui restano le basi lapidee. Tutte le colonne, esterne ed interne, si suppone fossero in legno. La cella era conclusa ad W da un ambiente quadrangolare (adyton) chiuso da un muro divisorio ed articolato da quattro pilastri. Questo spazio conteneva la statua di culto. La struttura era formata da un basso zoccolo costituito da due filari di blocchi di calcare, su cui poggiavano i muri in mattoni crudi. Intorno ad essa si sviluppava il colonnato con colonne lignee, periptero, il tempio è eptastilo; su ciascuno dei lati lunghi, invece, si ipotizza la presenza di quindici colonne. L'edificio si pone tra i più antichi templi dell'Italia Meridionale e della Sicilia.
La struttura, rimase in uso fino alla fine del IV sec. a.C., momento in cui si pone la trasformazione, ad opera dei Bretti, del tempio in un periptero dorico di maggiori dimensioni (m. 46x19), completamente in pietra, circondato da otto colonne sui lati brevi e diciannove su quelli lunghi. La cella arcaica fu inglobata nel nuovo edificio, mentre il colonnato fu raddoppiato sul lato orientale. La seconda fase del tempio di Apollo Alaios ci documenta gli ultimi sviluppi dell'architettura dorica templare in Occidente, costituendo l'unico edificio periptero postclassico noto.
Tra il materiale rinvenuto, in gran parte ex voto offerti dai fedeli al Dio venerato nell'area sacra cirotana, i reperti più noti sono costituiti dalle parti marmoree dell'Acrolito di Apollo (440/430 a.C.), testa, piedi e mano sinistra, oggi esposte presso il Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria.
L’area su cui sorgono i resti del vetusto santuario conserva quasi immutata la sua valenza paesaggistica, protesa com’è sul mar Ionio che lambisce la punta del promontorio, garantendo da sempre approdi sicuri, qualsiasi vento soffi. Baluardo della costa è ancora oggi il faro che svetta solitario sulla Punta, mentre un boschetto di pini ed eucalipti ombreggia le spiagge della costa.